Essere donna: una prima riflessione.
Perché il senso di aver subito una castrazione, e il suo corollario “l’invidia del pene”, costituiscono una caratteristica pressoché universale della condizione femminile? Perché tanto frequentemente la donna rinuncia all’attività, alla creatività, alle sue possibilità di costruire il mondo? Perché preferisce subire le imposizioni, assumendo infine posizione di dipendenza? (Tratto da Chasseguet-Smirgel “La sessualità femminile” – Universale Laterza, 1978).
Madre, vergine, prostituta. Sembrano essere solo questi i ruoli sociali imposti alle donne.
Come si evince dal libro “Questo SESSO che non è un SESSO” di Irigaray Luce (Feltrinelli 1978), da questi ruoli sociali derivano i caratteri della sessualità femminile: centralità della riproduzione, bisogno di allattamento, obbligo alla fedeltà, senso del pudore (estremizzato con l’indifferenza al piacere), accettazione passiva dell’attività degli uomini, seduzione finalizzata a produrre desiderio nei consumatori. Fino ad offrirsi a questi ultimi come supporto materiale senza goderne, né come donna, né come madre, né come vergine, né come prostituta.
La donna, in sintesi, sembra non aver diritto ad un suo godimento.
Secondo la psicologia psicoanalitica, la donna è un uomo castrato. Una visione fallocentrica che prende come modello di riferimento l’uomo e che ha dominato la cultura sociale e politica fino a poco più di 20 anni fa. Seppure oggi le cose stanno finalmente volgendo in positivo, molti limiti si presentano ancora alla donna nello sviluppo della sua identità.
Dovunque guardi, la donna vede posti di potere e/o prestigio occupati da uomini.
Apprende fin da bambina che essere maschio è meglio. Ma se questo modo di vedere fosse rimasto cosi per secoli solo perché la donna stessa non si è mai riconosciuta un’entità autonoma, con proprie peculiarità, semplicemente diversa dall’uomo, né migliore né peggiore?
Purtroppo la mia esperienza di psicoterapeuta mi ha indotto a rispondere con un si a questa domanda. Sono molte le donne che ho incontrato, le quali manifestano un insufficiente orgoglio di sé e scarso senso di sé, tanto da impedirsi di ritrovare e migliorare la qualità della propria vita.
Molte donne continuano a condurre un’esistenza che disprezzano, scandita da regole che non condividono, perché pensano di non avere altra scelta, di non meritarsi nulla di più che questi compromessi. Non si sentono degne di realizzare i loro progetti.
Se le è concesso di esprimere sentimenti teneri e delicati, apprende a mutilarsi dell’aggressività, della rabbia e del desiderio di potere e di ambientazione sociale. (Tratto da Pearson Carol “L’Eroe dentro di noi” – Edizione Astrolabio)
L’unico piacere nel creare concesso alla donna è quello di mettere al mondo figli.
Per secoli, alla donna è stato impedito (non solo dagli uomini, ma anche dalle figure femminili della famiglia e della società) di prendersi dei piaceri al di fuori del ruolo di madre – angelo del focolare. Questi ruoli culturali, tramandatasi da millenni, sono basati su una società che si occupava di caccia e di raccolto: mentre l’uomo era impegnato prevalentemente in attività fuori casa (che lo conducevano lontano da casa per cacciare ed esplorare), la donna doveva accudire i figli e rendere accogliente la casa.
Ma quante Penelope ci sono state e ci sono ancora tra ancora noi?
La donna per molti secoli è stata definita “il sesso debole”. Come tale ha bisogno di protezione, prima dai genitori, poi dal marito e – da anziana – dai figli. In Cina, addirittura, per migliaia di anni si è creduto che la donna non avesse un anima. Quindi, se il marito uccideva la moglie, non commetteva un crimine.
Diversi studi, invece, attestano che la donna è il sesso forte: è più resistente alle malattie, è meno incline al suicidio e all’omicidio, ha il potere di procreare. E l’essere sopravvissuta per secoli al dominio imposto da questa mentalità non è forse segno di grande forza? Anche se è costata un’enorme sofferenza.
La verità, dunque, è che le donne sono abituate a soffrire.
E proprio su questa loro forza interiore, è arrivato il momento di andare aldilà dei ruoli prescritti per trovare un senso all’essere donna più autentico e profondo.
Jung era convinto che il risorgere del femminile avrebbe salvato la società, perché la donna avrebbe operato secondo un modello integrato di elementi aggressivi individuali che cooperano con pacifici potenziali creativi. Integrando le diverse qualità tra uomo e donna, è possibile superare le differenze e far sì che le diversità non siano motivo di scontro e di incomprensione. Allora, perché non celebrare le differenze e riunirle?
Le relazioni dovrebbero servire proprio ad esprimere il meglio del proprio Sé, vero e unico.
Invece molte donne accettano di vivere dei legami che le limitano, che non permettono alla loro energia femminile di espandersi. Riconoscersi il bisogno di cambiare, muoversi alla scoperta delle potenzialità creative e trasformative del proprio femminile, questi sono alcuni tra i principali obiettivi dei numerosi seminari di gruppo (come quello tenutosi il 3 e il 4 marzo nell’ambito VIC in Gruppo).
Le donne si avviano verso questa nuova modalità relazionale, che porterà ad una profonda e a una profondità di rapporto individuale e collettivo nella società in precedenza sconosciuto. Gli obiettivi della donna sono come accedere a quelli che sono stati i ruoli maschili, senza diventare una copia del maschio, e come mantenere i valori profondi del femminile, senza vivere in funzione degli altri.
La donna deve comprendere che la ferita profonda e l’alienazione della fonte del femminile sono al proprio interno e non derivano dall’incomprensione o dalla mancanza di protezione da parte di qualcun altro. Anche la sofferenza archetipica della mancanza di un padre adeguato e di una madre adeguata viene attenuata o scompare del tutto quando essa viene in contatto con la fonte della sua energia interiore.
Come donne, smettiamola di soffrire della svalutazione del femminile ed iniziamo ad accettare di metterci in viaggio per godere noi stesse dei nostri doni, delle nostre doti, delle nostre peculiari qualità femminili che ogni donna forgerà a modo suo, sprigionando così attorno a sé una inebriante vitalità.
Via le maschere e gli schemi preconfezionati, le donne devono imparare a creare la propria personalità partendo da loro stesse, sentendosi parte dell’universo e della società a cui appartengono e contribuendo così alla trasformazione che caratterizza ognuna di loro e l’ambiente circostante.
Ogni donna è parte preziosa e necessaria dell’universo: non deve guadagnarsi il diritto di esistere.
Fondamentale e vitale, il vero cambiamento è possibile iniziando a cambiare se stesse e la propria vita. Anche se confrontarsi con la realtà del vecchio mondo ha dei limiti, c’è bisogno dell’impegno personale a diventare consapevoli di far parte di una importante opera di trasformazione universale. Il movimento di liberazione della donna, il movimento per i diritti civili, il movimento per il potenziale umano, le lotte di liberazione in altre parti dell’Europa dell’Asia e del Medio Oriente, fanno parte di questo massiccio movimento di ricerca di nuovi modelli relazionali.
Come terapeuta, anch’io sono arrivata a queste conclusioni e ho sentito il bisogno di portare la mia esperienza di donna alla società: la psicoterapia, arricchita dall’utilizzo di avanzate tecniche in ambito creativo, è il mezzo che mi permette di entrare in risonanza con quelle donne che sentono la necessità di scoprire le loro potenzialità e imparare a valorizzare la loro natura femminile.
Donne si diventa.
I “gruppi al femminile” , gli “spazi di condivisione tutta femminile” sono utili per stimolare e rafforzare il senso di Sé e della propria identità femminile, partendo dall’interno del proprio essere, riconoscendo qualità e attitudini in ambito sociale, relazionale, professionale.
Gli incontri di gruppo sono un caloroso invito a prendersi cura di se stesse e il piacere di farlo insieme ad altre donne che, pur con storie diverse e condizioni sociali differenti, desiderano ribellarsi e liberarsi dai vecchi condizionamenti. Non solo, la coesione di gruppo consente una più liberazione anche dalle dipendenze, trovare così insieme la strada per esprimere le proprie qualità femminili e integrarle con il resto della personalità, sentirsi più soddisfatte, sicure di Sé e in salute.
La dipendenza, insieme ad altri aspetti della storia della donna, rendono difficile il radicarsi di un forte senso dell’autonomia: conflitti irrisolti, traumi, frustrazioni, aspetti culturali e sociali assumono notevole importanza nell’identità delle donne, inducendole a sentirsi bisognose di aiuto, di aver bisogno di protezione, fino a convincersi che se hai bisogno, allora sei vulnerabile.
All’interno dei gruppi di sole donne, invece, si sperimenta insieme il piacere di diventare artefici del proprio destino. Al gruppo non si viene per “lamentarsi” degli uomini, ma per riuscire a esprimere i propri sentimenti e le proprie emozioni liberamente, per scambiarsi informazioni utili, per trovare sostegno in un contesto protetto dove ci si sente accettate.
Il gruppo aiuta ad essere più attive rispetto al problema, a gestirsi da sole per assumersi la responsabilità delle proprie azioni e decisioni, a raccontare di Sé, a esporsi, a sperimentarsi, a rischiare.
L’unione fa la forza.
Proprio per questo, il gruppo rappresenta – in uno spazio potenziale di profonda coesione sociale – un modo, un tempo sacro per prendersi cura di Sé e del proprio corpo.
Studi e ricerche in campo psicosociale dimostrano l’importanza della qualità delle relazioni affettive e del contatto emozionale per la prevenzione di disagi psichici comportamentali e nell’insorgenza di patologie organiche; infatti, tutto ciò che alimenta il senso di solitudine e d’isolamento spesso causa malattia e sofferenza, tutto ciò che viceversa alimenta la sfera affettiva e il senso di unità e di comunione è terapeutico.
Ogni donna è una parte preziosa e necessaria dell’universo, non deve guadagnarsi il diritto di esistere. Il cammino delle donne verso la riscoperta del proprio valore porta a riscoprire il potere del femminile, a riconoscere il diritto universale al piacere, a re-imparare ad assumersi la responsabilità del proprio benessere, a comunicare le emozioni, a poter sorridere mentre la propria anima emana quella luce calda ed affascinante come quella di un fuoco scoppiettante.
Sperimenta il metodo VIC nei gruppi femminili.
Portare l’utilizzo dell’immaginazione e della creatività all’interno dei gruppi di donne è un’esperienza che ha notevolmente arricchito il mio bagaglio professionale. Non solo ha rafforzato la mia convinzione nel potere sublime delle immagini, ma ha saputo dar inizio a reali percorsi di ricerca delle singole identità femminili.
Per un confronto sui benefici che questa tecnica può apportare come fattore di stimolo e unione all’interno dei gruppi femminili, contattami ora.